Articolo di Massimo Marcoli

Mauk, il bosco e la grande prova

 

All’alba Mauk si sveglierà, uscirà dalla capanna, lasciando dietro sé gli sguardi dei fratelli, una lacrima nascosta della madre. Uscirà accompagnato dal padre e sfilerà davanti alle altre capanne, dove la gente della sua tribù lo guarderà passare, in silenzio. Dove finisce il villaggio, il padre lo affiderà al membro più anziano del clan, che lo accompagnerà nel bosco. Lì, inizierà per lui la Grande Prova. Vedrà crescere e decrescere la grande luna, e questo per quattro volte. Poi, solo dopo la quarta luna, farà ritorno al villaggio. Tornerà, oppure no. Ma se tornerà, non sarà più Mauk: avrà un altro nome, prenderà moglie e vivrà nella capanna costruita con le proprie mani. Mauk sarà diventato un uomo.

 

Facciamo due salti: uno nel tempo, da Mauk ad oggi. Con il secondo salto evitiamo di parlare del (non)senso dell’esercito, della sua legittimità: diamo per scontato che l’esercito sia rifiutato da chi decide di fare obiezione di coscienza e di svolgere servizio civile. Saltiamo tutto a piè pari e parliamo, appunto, di servizio civile.

Al di là dunque di motivi politici, eticomorali o religiosi, scegliere di fare il servizio civile e non quello militare coinvolge l’obiettore e la società al livello profondo della coscienza collettiva: il servizio militare, specialmente i quattro mesi di scuola reclute, è un simbolo forte molto ben radicato nella coscienza elvetica, un simbolo carico di emozioni. In Svizzera tutti gli uomini maschi che non presentano problemi fisici particolari (o psichici...), sono obbligati a prestare servizio militare. A vent’anni, anno più anno meno, ogni giovane esce di casa per entrare in caserma: un passaggio che è ritenuto formativo, un insostituibile momento iniziatico. Insomma, a vent’anni il ragazzo svizzero diventa uomo passando per la caserma. Così dev’essere, così è stato per tuo fratello, per tuo padre e per tuo nonno. Così dev’essere per te.

Se il passaggio dalla casa alla caserma non avviene perché si sceglie di voler passare per altri sentieri, si infrange un mito, si attaccano inattaccabili convinzioni. L’obiettore non si spaventa, oppure un po’  è normale  e va avanti. Passerà da coscienziose commissioni, oppure, se è un po’ più vecchio, sarà passato in linde aule di tribunale giudicato da giudici che la coscienza così linda non l’hanno mai avuta (ma questa è un’altra storia, di un odierno medioevo tutto elvetico).

L’obiettore dice di no alla caserma, non ci crede, non crede che così si diventi davvero uomini. L’obiettore dice di no: così (forse) è ammesso al servizio civile.

E il bosco? Già, il bosco... Il bosco c’è ancora, anche oggi. E c’è ancora e sempre bisogno di momenti iniziatici, di passaggi ben segnati: è così che si cresce. C’è, è vero, un momento in cui il ragazzo diventa uomo. Deve esserci. Quel bosco minaccioso e pericoloso che accoglieva Mauk e i suoi compagni, quel bosco oggi c’è ancora. Non è la caserma, però. La caserma è ordinata, ci sono uomini e uomini e ordini e ordine. Il bosco non è mai stato ordinato: il bosco non accettava regole imposte, il bosco era tutto e di tutti. Nel bosco c’erano belve e insetti, ladri, storpi e assassini che vi si rifugiavano, c’erano uomini e donne, giusti o ingiusti. Nel bosco c’erano i diversi, gli altri, quelli che fuori non ci potevano stare, che non si voleva vedere. Oggi il bosco è ancora così, anzi, in mezzo a concrete e sempre più drammatiche deforestazioni, abbiamo una giungla metaforica di esseri umani che la società non vuole considerare. Ma il bosco oggi è nella società. Le caserme, quelle, le fanno sulle montagne (nelle città, se le fanno, le avvolgono per bene in segreganti fili spinati e alte mura): e lì, mettendo in ordine le setole dello spazzolino da denti, i capi militari riflettono sul mondo. Pensano, seri e convinti di se stessi, che non se ne può proprio più di questi manifestanti anti globalizzazione, di questi preti di sinistra, dei drogati, degli stranieri, di africani portoghesi albanesi e iugoslavi, dì handicappati ma quelli vabbeh ci sono che vuoi farci però che stiano chiusi nei loro istituti. Pensano e pensano e pensano e quando vedono un obiettore che, invece di andare sulle montagne va nel bosco, sorridono beffardi e con superficialità. Ma poi si danno un gran da fare dietro le quinte del parlamento, per far revisionare in modo sempre più punitivo e restrittivo le regole sull’accesso e lo svolgimento del servizio civile.

Sono convinto che la nostra tribù, ops!, la nostra società, ha sempre più bisogno di coraggiosi Mauk che partano nel bosco. Ancora. E se fa paura, beh, è normale.